Biografia
1898-1908

Umberto Lilloni nasce a Milano il 1 marzo 1898, a mezzogiorno, nel popolare quartiere di "Porta Tosa", l'attuale Porta Vittoria, da Francesco e Adele Ottazzi, settimo di nove figli.

Nel 1876 il padre, diciottenne, si era trasferito da Medole (Mn) a Milano, dove esercitava il mestiere di falegname, pur provenendo da una famiglia di nobili origini (1), impoveritasi nel corso del tempo.

Il 19 gennaio 1884 Lilloni sposa Adele Ottazzi, pavese. Nei primi anni di matrimonio, Adele lavora come operaia specializzata, cucendo tomaie delle scarpe e guadagnando più del marito (circostanza allora eccezionale).

I coniugi vivono in una casa di Corso XXII Marzo 9, casa che sarà distrutta in un bombardamento della seconda guerra mondiale. Umberto frequenta la Scuola Elementare Pubblica Maschile in Via Anfossi, 19.



(1) I Lilloni sono conti, patrizi veneti e romani. Nel 1668 un suo avo, Francesco Antonio Lilloni, dottore in legge, ambasciatore presso più corti del Ducato di Mantova, viene nominato conte da Ranuccio Farnese con tutti i discendenti di ambo i sessi.

1909 La famiglia si trasferisce in centro in Via Pasquirolo, 9, la stessa strada in cui ha sede la Casa Editrice Sonzogno. Infatti le condizioni economiche sono migliorate: Francesco ha aperto un negozio "a tre luci" in Via Durini, con annesso laboratorio, dotato di macchinario moderno e di numeroso personale. Umberto consegue il diploma di V alla Scuola Elementare di Via Pisacane.
1910-1915

Su ordine del padre, che lo vuole in bottega con lui, Lilloni frequenta corsi di ebanisteria presso la Società Umanitaria a Milano. E qui scopre il suo amore: il disegno. Il primo voto che prende nella materia è un cinque, l'ultimo un dieci.

In questo periodo incomincia la lotta tra Lilloni e il padre per il suo futuro. Francesco vuole che il figlio continui l'attività da lui intrapresa, mentre Umberto intende dedicarsi all'arte. Nel settembre del 1915 riesce a convincere la madre a firmare il modulo di iscrizione alla Regia Accademia di Belle Arti (infatti allora non esisteva il Liceo Artistico, che sarà introdotto solo con la riforma del 1923 (2). Suoi compagni di corso sono Contardo Barbieri, Arnaldo Carpanetti, Angelo Del Bon, Gino Ghiringhelli e Giorgio Pajetta. Sono tutti coetanei, cioè del 1898, tranne Barbieri che è nato nel 1900 (3).

Inoltre, i rapporti familiari sono ulteriormente guastati dalla politica: Francesco Lilloni, da vecchio socialista, è contrario alla partecipazione italiana al conflitto mondiale, mentre Umberto è un fervente interventista, socialista corridoniano.


(2) La materia era regolata dal Decreto Reale del 31 ottobre 1879 in cui si distingueva "fra lo studio delle arti propriamente detto e quello dell'arte applicata alle decorazioni e alle industrie", separando la scuola degli artisti da quella degli artefici. L'insegnamento artistico si divideva in preparatorio (un anno), comune (tre anni), speciale (due anni, meno che per l'architettura che ne aveva quattro)" (tratto da: Eva Tea: "L'Accademia di Belle Arti a BreraMilano", Felice Le Monnier, Firenze, 1941, pag. 102 e seg.).
Il problema si è posto quando nel contesto di ricerche effettuate a Brera, per verificare il percorso accademico di Lilloni, sono sorte discussioni sull'eventuale mancato completamento degli studi. Conoscendo Lilloni, era difficile pensare che non avesse finito quello che aveva incominciato. E così si è dimostrato.


(3) Antonello Negri e Paolo Biscottini: “Dal 1915 al 1934 – Formazione e presenza negli anni di - Novecento Italiano-“, in “Guido Pajetta fra primo e secondo Novecento” a cura di Paolo Biscottini, Enrico Crispolti e Antonello Negro, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2003, pag. 19.

1915-1917

Nel novembre 1915, dopo aver superato un esame di ammissione, si iscrive al I Corso Comune di pittura. A Brera i primi insegnanti sono Vespasiano Bignami un romantico scapigliato, fondatore della Famiglia Artistica Milanese, e Rapetti, artista piuttosto accademico (4). Promosso, segue il II Corso Comune, fino alla chiamata alle armi che avviene il 26 febbraio 1917.

Combatte in fanteria nel 25° Reggimento (Brigata Bergamo) sul Carso, sulla Bainsizza o per meglio dire sulla Piana di Gorizia. Nominato caporale, al momento della disfatta di Caporetto, si trova in ospedale in gravi condizioni. Per non cadere prigioniero, compie a piedi tutta la ritirata. Dopo mille traversie, viene ricoverato a Vicenza e in seguito a un leggero miglioramento, è trasferito all'Ospedale dei Colerosi di Via Mantegna a Milano, dove riabbraccia la famiglia.

(4) Mario Lepore: “La vita di Lilloni”, in “Lilloni. La vita e le opere”, a cura di Mario Lepore e Mario Monteverdi, Editrice Ponte Rosso, Milano, 1963, pag. 13 e “Lilloni”, a cura di Luigi Cavallo, Giulio Bolaffi Editore, Torino,1975, pag. XII.

 

 

1918

Dimesso, supera gli esami nella sessione straordinaria di marzo/aprile 1918 e si iscrive quindi al III Corso Comune. Rientrato al 25° Reggimento di Fanteria, si arruola volontario negli arditi (V Reparto d'Assalto), nel cui corpo combatte sul Piave fino a Vittorio Veneto.

Sul suo foglio di congedo, che Lilloni ha conservato come una reliquia (era orgogliosissimo del suo passato militare) vi è scritto "campagne 1917/1918". Lilloni amava parlare dei suoi trascorsi bellici, questo fino all'ultimo giorno di vita; amava ricordare i suoi compagni arditi, quasi tutti meridionali o sardi, rammentava i raduni che tenevano a Porlezza nel primo dopoguerra, il senso di cameratismo e di solidarietà che li legava.

Ma c'era un ricordo che lo perseguitava: nell'ultima avanzata dell'ottobre che terminò a Vittorio Veneto, solo una parte dei suoi commilitoni arditi riuscì a passare il Piave a Nervesa, perché l'imbrunire e lo stato burrascoso del fiume impedirono al resto del

Reparto di attraversarlo. Lilloni ricordava che per tutta la notte si sentivano le voci dei compagni chiamarli per nome, voci che si affievolivano, fino a scomparire, con l'avvicinarsi dell'alba. Quando poi al mattino giunsero sull'altra sponda, trovarono tutti i compagni uccisi colle mazze ferrate. Lilloni, dopo più di sessant'anni, sentiva ancora i richiami dei suoi commilitoni che lo invocavano ma lui non poté far niente. E ne aveva ancora rimorso.

1918-1919

Finita la guerra, Lilloni è trasferito nel 41° Reggimento di Fanteria a Savona. Si trova di fronte a una realtà per lui inaccettabile: disordini, caos, scioperi, disprezzo per i sacrifici dei combattenti. Si iscrive, quindi, ai Fasci Nazionali di Combattimento e fa il servizio d'ordine ai comizi degli oratori fascisti e nazionalisti. Purtroppo, le ristrettezze economiche non gli consentiranno di rinnovare l'iscrizione regolarmente, anche se egli non modificherà le sue idee politiche. Rimpiangerà per tutto il ventennio di non essere stato un sansepolcrista.

Durante questo periodo a Savona viene messo di picchetto con i suoi uomini all'Ansaldo, per evitarne l'occupazione nelle agitazioni operaie. Gli ordini sono di non caricare i fucili ma di tenere i proiettili nella giberna; in caso di attacco, però, i soldati, visto il rapporto numerico tra loro e gli dimostranti, non avrebbero potuto difendersi in alcun modo, perché non avrebbero avuto il tempo di caricare l'arma. Lilloni, sotto la sua responsabilità, autorizza il suo drappello a mettere i colpi in canna.

La guerra ha profondamente cambiato Lilloni, come penso accada a tutti i combattenti.

Riprende come può gli studi, ripetendo, volontariamente, il corso del disegno del nudo, già seguito nell'anno precedente sotto la guida di Cesare Tallone (5), oltre che cimentarsi in altre materie. E' curioso che, pur essendo stato promosso nel corso di nudo del 1918, si ritrovi bocciato la seconda volta. E deve far valere il precedente voto (8½), per continuare gli studi.


(5) Cesare Tallone è stato professore di pittura all’Accademia di Carrara a Bergamo dal 17 marzo 1885 al 1899.
Dal 9 marzo 1899 è stato nominato docente nella scuola di disegno del nudo e in quella di pittura alla R. Accademia di Brera, posto che ha occupato fino alla fine del marzo 1919, quando si è ammalato ed è morto il 21 giugno 1919.
Vi è un preciso elenco degli allievi che ha seguito a Bergamo e successivamente a Milano (tra quest’ultimi vi è l’indicazione di Lilloni e non vi compare nessun altro dei suoi compagni di corso). Vedi “Cesare Tallone”, a cura di Vincenzo Bignami e Ciro Caversarri, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, s.d. ma 1921, pag. 33, pag. 34, pag. 35 e pag. 36.

 

1920 – 1921

Congedato nel gennaio dall'esercito con onore e con la concessione di una Croce al

Dal 9 marzo 1899 è stato nominato docente nella scuola di disegno del nudo e in quella di pittura alla R. Accademia di Brera, posto che ha occupato fino alla fine del marzo 1919, quando si è ammalato ed è morto il 21 giugno 1919.

Vi è un preciso elenco degli allievi che ha seguito a Bergamo e successivamente a Milano (tra quest’ultimi vi è l’indicazione di Lilloni e non vi compare nessun altro dei suoi compagni di corso). Vedi “Cesare Tallone”, a cura di Vincenzo Bignami e Ciro Caversarri, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo, s.d. ma 1921, pag. 33, pag. 34, pag. 35 e pag. 36.

Merito di Guerra, si iscrive al I Corso di pittura. Il suo insegnante di pittura è Ambrogio Alciati. L’Alciati che ha sostituito Tallone, avrà una influenza su Lilloni, che sempre ricorderà il maestro con affetto e stima. E l'Alciati sarà il primo acquirente di un'opera del Pittore. Lilloni, altresì, guarderà a Gola, cui si è sempre sentito molto vicino.

Si iscrive al Partito Nazionale Fascista il 14/05/21.

Supera il corso con votazione 9 e consegue il 5 agosto 1921 il premio nel corso di pittura Vedova Mazzola.

In questi anni del dopoguerra, si ha il primo viaggio a Roma e a Napoli di Lilloni che, con altri compagni (sicuramente con Remo Taccani), va a vedere le bellezze artistiche dell'Italia.

1921-1922

Si iscrive al II anno di pittura, che supera brillantemente con la votazione di 9½ (anche dopo sessant'anni, Lilloni lo ricorderà con orgoglio), vincendo il Pensionato Francesco Hayez, che gli assicura per un biennio una borsa di studio di lire quattrocentocinquanta (trimestrali e anticipate). Questo è il primo anno in cui il borsista non è obbligato a soggiornare fuori sede, a seguito della perdita del potere d'acquisto del lascito.(6) Delusione per Lilloni, che sognava un soggiorno a Parigi.

Nell'aprile del 1922 vince il I Premio e la Medaglia d'Oro alle I Olimpiadi Universitarie Italiane e dovrebbe essere incoronato in Campidoglio ma, a causa della sua timidezza, si fa sostituire dall'amico Ingegnoli.

Sempre nel 1922 consegue la licenza della Scuola di Pittura con il I Premio di II grado all'Accademia di Brera, completando, quindi, il corso degli studi. Si diplomano con lui, tra gli altri, Arnaldo Carpanetti, Angelo del Bon e Guido Pajetta (7).

Da questo momento, per Lilloni inizia l'attività professionale. L'Artista considera le opere precedenti a questa data come giovanili, anche se logicamente le riconosce.


(6) Infatti l'articolo 12 del Regolamento delle Pensioni "Francesco Hayez" stabilisce che "il pensionato salvo che per tre mesi dovrà risiedere in centri artistici fuori dalla Lombardia".

(7) Vedi Antonello Negri e Paolo Biscottini: op. cit., pag. 19.

1922 - 1929

Sono questi anni di lavoro, di duro lavoro, di stenti, nello studio prima di Via General Govone e poi in quello di Via Solferino, 11. I quadri non si vendono; e in più Lilloni dipinge solo figure, tema questo che sarà quasi il suo esclusivo fino al 1927.

Fare il pittore comporta costi notevoli: l'affitto di uno studio, l’acquisto di libri d’arte così costosi, pagare tele, cornici, colori e le modelle, sostenere lunghi soggiorni fuori sede per poter dipingere il paesaggio "en plein air", tutto questo richiede un esborso economico gravoso per chi possiede così poco. Lilloni, tutte le estati, va a dipingere al mare, in montagna, sul lago o in campagna, secondo i desideri e le possibilità. Usualmente, ogni anno cambia località per provare sempre una emozione diversa: in pochi casi ha ripetuto la stessa esperienza ma quasi mai in due anni successivi; tranne per Medole, che è la sua ultima spiaggia. Quando non ha soldi per recarsi altrove, va infatti a Medole, perché fino al 1922 lì dimora una sua prozia che lo ospita e dopo tale data rimane sempre la casa avita. I genitori, nel 1929, sono tornati a vivere in paese. Dal 1940, (anno della morte del padre), non risultano ulteriori soggiorni a Medole ma solo brevi soste, per salutare i suoi morti al cimitero.

Lilloni si è sempre mosso per dipingere. Nel 1921 è andato a Massagno, ospite di un compagno d'armi, nel 1922, nel 1923 e nel 1924 appunto a Medole, nel 1925 a Serina (dove conosce colei che diverrà poi sua moglie), nel 1926 a Gromo, e così via.

E' impossibile valutare quantitativamente la produzione di Lilloni. Dipinge paesaggi solo nei mesi estivi e figura durante l'anno scolastico. Inoltre, in tutta la sua vita, ma particolarmente nei primi vent'anni di attività, distrugge totalmente moltissime opere o ne conserva solo la parte che ritiene soddisfacente (i famosi “frammenti” di Lilloni).

Per avere un minimo di sicurezza economica, si dedica all'insegnamento. D'altra parte anche in questo campo, essendo incaricato, viene remunerato non per l'intero anno ma solo per gli effettivi mesi scolastici effettuati. Nel 1924 inizia ad insegnare disegno presso le Scuole Serali d'Arte Applicata all'Industria della Società Umanitaria, nelle stesse aule dove poco più di un decennio prima era stato allievo.

Nel 1923 espone alla sua prima mostra collettiva presso la Promotrice di Torino, ottenendo un parere assai lusinghiero da parte della critica francese (8).

Nel 1926 sposa Maria Luigia Ghisleni detta Mariuccia (Lilloni così ha sempre chiamato la moglie. Quindi i ritratti di Mariuccia o gli "omaggi a Mariuccia" si riferiscono alla sua compagna, che tanta parte ha avuto nella sua vita), figlia di un noto avvocato di Bergamo e proveniente da una famiglia di grandi patrioti. La porta a vivere coi suoceri, in quella casa di ringhiera, che era la casa di Via Pasquirolo: un bel salto per una agiata borghese, abituata al benessere ed alle comodità.

Nel medesimo periodo si reca in Toscana con Ghiringhelli e Usellini, per visitare i musei di Firenze, Arezzo, Pisa e Siena.

Lilloni si dedica totalmente alla pittura, alla quale sacrifica tutto: la moglie condivide questa scelta.

Nel 1927 gli viene assegnato l'ambitissimo Premio Nazionale Principe Umberto, per la prima volta concesso ad un "non senatore della pittura" e secondo Lilloni, ciò premia il suo fanatismo. Dopo questo riconoscimento, che allora era un evento davvero eccezionale, i genitori non gli rimproverano più la sua scelta professionale, almeno esplicitamente.

Nello stesso anno Lilloni cessa l'attività all'Umanitaria, iniziando ad insegnare quale straordinario nel Liceo Artistico e nella Scuola Superiore degli Artefici a Brera; continuerà questo insegnamento sino al 30 novembre 1941.

E' del 1927 anche la nascita della prima figlia, cui dà il nome dell'adorata madre, Adele.

Nel 1928 per la prima volta espone alla Biennale di Venezia, traguardo ambitissimo specie ai suoi tempi.

Nel 1929 partecipa nel palazzo della Permanente di Milano, alla Seconda Mostra del Novecento Italiano, con opere che definirà "la sua prima maniera" e che vengono ammirate dal gruppo dei sarfattiani. Esporrà, tra l’altro, “L’uomo dal martello” del 1927. Ma già dal 1927 la sua pittura aveva incominciato a schiarirsi, fino a giungere a quello che egli reputava il suo primo nudo chiarista, "Eva" del 1929. Comunque si ritrovano paesaggi già chiaristi nel 1927 e nel 1928 (vedi ad esempio “Appennino a Romagnese”, 1927, olio su tela, cm. 80x100, “Paesaggio Appenninico”, 1927, olio su tela, cm. 76x96 e “Appennino pavese”, 1928, olio su tela foderata, cm. 73x90). E parliamo di quadri datati all’atto dell’effettuazione, su cui, quindi, non ci possono essere dubbi al riguardo.

La cosa mi è risultata di difficile comprensione inizialmente.

E’ logico che i nudi e in genere le figure siano stati dipinti nei mesi scolastici in studio, mentre i paesaggi, essendo dipinti "en plein air", durante le vacanze sono temporalmente successivi. Ma questa spiegazione non mi pare sufficiente.

Quasi sembra che l’influsso accademico e delle scuole abbia maggiormente condizionato la giovane personalità di Lilloni nella figura, lasciandolo libero di esprimere totalmente se stesso nel paesaggio. Ma lasciamo agli studiosi questi approfondimenti.

Nel 1929 viene organizzata dall'amico Pier Maria Bardi, nella sua Galleria in Milano, la prima personale di Lilloni, con la sua prima monografia, pubblicata dalle Edizioni Belvedere. Lilloni si rammaricava di aver aspettato l'anno della crisi di Wall Street per presentarsi al pubblico: pur avendo avuto articoli elogiativi da parte di Sironi e Carrà e un certo successo di vendite, i costi delle cornici, dei trasporti e di quanto altro, lo portano in passivo. La critica, da questa data, riconosce che la sua pittura si sia notevolmente schiarita.

Nel settembre del 1929 nasce Luciano, l'unico maschio che Lilloni avrà e che in quanto tale gli sarà particolarmente caro (Il padrino di battesimo è Virginio Ghiringhelli).


(8) Vedi Clément Morrò:”Beaux Arts.. Les Artistes vus aus rècentes Expositions. La Quadriennale du Turin. Umberto Lilloni”, in “La Revue Moderne des Arts et dela Vie”, anno XXIII, n. 18, Parigi, 30 settembre 1923,p. 6 e Henry Voisin, Tancrède Viala e René Prades: -Les Salons. L’Exposition d’été de la “Grosvenor-Gallery”, le Salon de Turin et Expositions Diverses. Umberto Lilloni -, in “Revue du Vrai et du Beau”, Parigi, ottobre 1923, pp. 10-11.

1929 - 1934

A Milano gli artisti usavano in quegli anni trovarsi in vari locali, dal Craja alla Pasticceria di Brera (l'attuale colorificio Crespi), al Mokador, per parlare, discutere di pittura. Al Mokador di Piazza Beccaria Lilloni si trovava con gli amici di quel tempo (De Amicis, Del Bon, De Rocchi (9) e Spilimbergo) e poi successivamente con Persico, che si trasferisce a Milano alla fine del 1929. Era il luogo dove convenivano i giovani culturalmente più vivaci di Milano, partecipi del dibattito artistico. Ma vi andavano anche per svagarsi. Lilloni, ottimo giocatore di scopa, era anche quasi imbattibile a dama, come ben sapeva l'amico pittore Italo Joz, che stanco di essere sconfitto, fece scontrare Lilloni con quello che, poi, si seppe essere il campione italiano di dama. Lilloni subì una clamorosa sconfitta (undici cappotti e un pari in dodici partite). Lilloni ricordava sempre la figura, ora quasi dimenticata, dell'italianissimo Italo Joz che, ebreo, fu colpito dalle leggi razziali; Joz scomparve, si rinchiuse in casa, lasciandosi morire di inedia negli anni 1939-1940.

E' invitato alla XVII Biennale di Venezia, nel 1930.

Nel marzo 1931, con Ernesto Crespi, espone solo paesaggi alla Galleria Il Milione di Milano, diretta dall'antico compagno di Accademia Peppino Ghiringhelli, mostra questa che ottiene il plauso della critica.

Pier Maria Bardi apre la Galleria d'Arte di Roma, dove Lilloni presenta delle opere con Oreste Bogliardi e Virginio Ghiringhelli, dal dicembre 1931 al gennaio 1932, e ottiene un buon successo di critica.

Nel 1932 viene invitato alla XVIII Biennale di Venezia e si ha l'acquisto ufficiale di una sua opera ("Arenzano") da parte del Ministero delle Corporazioni e dell'Educazione Nazionale.

Nel 1933 la Galleria Il Milione di Milano gli organizza una personale, con ottime critiche. Purtroppo i risultati di vendita sono meno entusiasmanti.

Nel dicembre 1933 muore a Medole la madre. Il lutto viene accompagnato da un ulteriore dolore: la sorella maggiore Caterina, accorsa al capezzale della madre, muore di peritonite, non essendo stato possibile trasportarla all'ospedale di Mantova, a causa delle grandi nevicate che rendevano la strada impraticabile.

Nel 1933 inizia il nudo "Risveglio", che finirà nell'anno dopo. Alcuni vi intravedono le fattezze della moglie.

Nel 1934 è presente alla XIX Biennale di Venezia e ottiene un alto riconoscimento, il Premio Sallustro Fornara con il quadro "L'Entella a Chiavari", presentato alla Esposizione Sociale della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente a Milano.


(9) De Rocchi in questi anni, vive a Cislago nei pressi di Saronno. Aprirà uno studio a Milano solo nel 1936 (vedi Elena Pontiggia: “Cronologia Milano 1930-1940. Le vicende della pittura e della scultura”, in “Milano Anni Trenta. L’arte e le città” a cura di Elena Pontiggia e Nicoletta Colombo, Mazzotta Editore, Milano, 2005).

1935 Alla II Quadriennale d'Arte Nazionale a Roma, a cui è invitato, si hanno gli acquistiufficiali di S.M. il Re e del Governatore di Roma. Riceve una targa alla Mostra Internazionale di Bruxelles.
1936-1938

E' presente alla XX Biennale Internazionale di Venezia. Nell'aprile del 1936 la Galleria della Cometa di Roma organizza una esposizione di quattro pittori (Lilloni, Mucchi, Tomea e Sassu) e di due scultori (Manzù e Viegman-Mucchi).

Nel 1937 la famiglia Lilloni lascia finalmente la casa di Via Pasquirolo, trasferendosi, in affitto, in un'abitazione modesta ma civile in Piazza Grandi, 3, essendo leggermente migliorate le condizioni economiche. Con lo "Specchio" gli viene assegnato, di nuovo, il Premio Sallustro Fornara della Permanente di Milano. All'Esposizione Internazionale delle Arti e delle Tecniche, a Parigi, riceve una Medaglia d'oro nel 1937. In questa data, il suo studio è ancora in Via Solferino, come risulta dalla documentazione della Biennale. Sempre nello stesso anno va a Lecco per preparare le opere da esporre alla Mostra Quinquennale del Paesaggio Lecchese, di cui vincerà il Premio.

Nell'autunno del 1938 Lilloni si reca a Bergamo per ritrarre le piazze e gli angoli di Bergamo Alta e quindi allestire il materiale da presentare al “Concorso di Pittura per l'Interpretazione Artistica di Bergamo Antica" che si terrà nel giugno successivo al Palazzo della Ragione. Si incontra con i colleghi locali ed è uno dei fautori della istituzionalizzazione del Premio Bergamo, in contrapposizione al Premio Cremona di Farinacci.

1939-1942

Lilloni, in tutta la sua carriera, ha organizzato ventinove personali, ritenendo di ricorrere a questo tipo di esposizione solo quando aveva qualcosa di nuovo da dire. Non risultava perciò chiaro come nel 1939 potessero essercene due, a così breve distanza di tempo: una organizzata nel Salone della Pro Lecco a Lecco dall'11 al 23 febbraio 1939 e l'altra organizzata dal Sindacato delle Belle Arti, nelle sale dell'Unione Fascista Artisti e Professionisti alla Rotonda dei Mille a Bergamo, dal 23 marzo al 10 aprile. Da un approfondimento è risultata una mostra itinerante che si è spostata da Lecco a Bergamo, in cui sono esposti, tra l'altro, quadri sul tema dei "Promessi Sposi", gli stessi quadri riprodotti nella "Rivista del Corriere della Sera" dell'aprile.

Sicuramente in questo anno lo studio di Lilloni è in Via Zenale (10). Si tratta di una soffitta raggiungibile con una scala con oltre cento gradini, poco incoraggiante per qualsiasi possibile compratore e faticosa anche per il pittore. E' probabilmente il 1938 la data in cui egli ha cambiato studio, come sostiene Lepore. (11)

Sempre nello stesso anno, per l'opera "L'Adda a Brivio", gli viene conferito il Premio Nazionale "Guido Ricci". Viene premiato, altresì, nel Concorso per l'interpretazione artistica di Bergamo antica con il Primo premio per l'opera migliore e il Primo premio per il complesso delle opere. Vince, sempre a Bergamo, il Premio Nazionale Paesaggio Italiano.

Alla II Quadriennale d'Arte Nazionale, il Ministero dell'Educazione Nazionale acquista un'opera di Lilloni, "Inverno a Lecco".

Dal dicembre 1939 al gennaio 1940 si svolge una personale di Lilloni alla Galleria P. Grande di Milano, con ottimo successo di critiche e di vendite. Contemporaneamente esce la sua seconda monografia, a cura di Emilio Radius. In questa occasione, Guido Piovene usa la parola "chiarista", in riferimento alla pittura lilloniana. Lilloni (successivamente, ha considerato il termine improprio, ché sottolinea solo la differenza della sua arte rispetto al "nero", ai chiaroscuri plastici e molto densi del Novecento) avrebbe preferito il termine "naturalista", per evidenziare il passaggio da un mondo culturale a uno naturale.

Viene invitato a partecipare alla XXII Biennale di Venezia del 1940 con una mostra personale. La sua gioia per l'evento è totalmente offuscata dalle cattive condizioni di salute del padre, che ne porteranno alla morte nell'estate, all'età di ottantadue anni. Lilloni troverà nel suo portafoglio articoli di giornali sulla sua pittura, manonunarticolodiUgo

Ojetti (che era allora l’idolo del Corriere della Sera e di Milano). Francesco Lilloni aveva detto al figlio che non avrebbe creduto nei suoi meriti, finché Ugo Ojetti non ne avesse scritto e Ugo Ojetti non ne scrisse. Qualunque altro riconoscimento, e Lilloni ne ebbe tanti, non sarebbe bastato. Ma Ugo Ojetti non lo lodò neppure una volta, con profondo dolore di Lilloni.

L'entrata dell'Italia in guerra trova l'Artista esterefatto, assolutamente contrario, profondamente ostile a una qualsiasi alleanza con i tedeschi (era vivo in Lilloni l'avversione risorgimentale contro l'odiato occupante austriaco, rinfocolato dai suoi ricordi bellici), è convinto che avremmo perso la guerra.

Nel novembre 1941, finalmente, viene nominato titolare di decorazione pittorica al Regio Istituto d'Arte di Parma, dove, quindi, andrà ad insegnare. Da una parte Lilloni è dispiaciuto di lasciare la sua città e gli amici; d'altra parte è contento di trasferirsi, in quanto reputa Parma meno esposta ai bombardamenti di Milano, essendo molto preoccupato per i suoi.

La famiglia nel 1942 si trasferisce a Parma in una casa d'Oltretorrente. Sfollano a Lesignano Bagni durante il fine settimana o in caso di particolare pericolo.

Ma nonostante la guerra, la vita continua: Lilloni insegna e i figli vanno al ginnasio. Espone alla XXIII Biennale Internazionale d'Arte di Venezia. L'appena costituita Galleria "L'Annunciata" di Bruno Grossetti organizza una sua personale, il cui catalogo è magistralmente presentato dall'amico Diego Valeri. "I lilloni devono essere alberi di alto fusto e di ricco fogliame (un fogliame leggero morbido piumoso), allignanti sulle dolci rive dei fiumi e dei laghi lombardi ...".



(10) L’invito della Biennale di Venezia in data 22/05/39 a organizzare una mostra personale alla XXII edizione, è già indirizzato all’artista in Via Zenale.

(11)Mario Lepore: op. cit., pag. 18.

1943-1946

Espone nel maggio alla IV Quadriennale d'Arte Nazionale.

Ma anche quel minimo di normalità che si poteva avere durante il conflitto viene interrotta dalla caduta del Fascismo e dall'Armistizio.

Lilloni non aderisce alla Repubblica Sociale per gli stessi motivi per cui era stato contrario all'intervento dell'Italia in guerra. Continua ad insegnare a Parma, finché non viene denunciato perché, come tutti, sente Radio Londra e perché ha consigliato a dei giovani che gli chiedevano un parere sul da farsi, di essere renitenti alla leva. Avvisato del pericolo, va a Milano, ufficialmente per sistemare l'appartamento bombardato, dato il prossimo rientro della famiglia. La moglie e i figli si fermano a Lesignano, da dove rientreranno in camion con i pochi viveri acquistati, a caro prezzo, nel luglio del 1944. Saranno tra gli ultimi ad attraversare il ponte di Piacenza, prima che venga definitivamente distrutto dalle bombe.

Dopo la liberazione (aprile 1945), Lilloni viene avvisato che corre pericolo di vita. I suoi "amici pittori" (!) intendono fargli la pelle, in quanto fascista (Lilloni non ha mai tratto alcun vantaggio dalla sua fede politica) o, più probabilmente, per gelosia. Comunque, egli lascia Milano e va a Feriolo, ufficialmente per dipingere, nella stessa località del Lago Maggiore, dove si era recato anche nell'anno precedente. Viene sottoposto nel maggio del 1945 a due processi di epurazione (uno a Parma e uno a Milano), perché "nominato insegnante per meriti fascisti nel 1942 dall'ex Ministro Bottai" (non si tiene in considerazione i suoi quindici anni di semplice incaricato), che poi finiranno in nulla.(12) Non viene più invitato alle Mostre, viene emarginato, lavora pochissimo. Pur nella difficile situazione in cui si trova, ha conforto che la guerra sia finita, e che lui e tutti i suoi familiari siano sopravvissuti, è già un gran risultato. Nonostante tutto, Lilloni non richiede i danni di guerra, da lui effettivamente subiti, perché "lo Stato è povero".


(12) Per avere un'idea di questo periodo della vita artistica a Milano, vedasi -"L'armonia, esclude la monotonia". Il carteggio tra Oreste Bogliardi e Cristoforo De Amicis, 1945-1952- in "L'Arte all'ordine del giorno. Figure e idee in Italia da Carrà a Birolli", a cura di Vittorio Fagone, Feltrinelli Editore, Milano, 2001, pag. 234,235 e 236.

1946-1948

ContinuaadinsegnareaParma,sepurea stipendio ridotto, mentre la famiglia risiede a Milano. Gli vengono riunite le lezioni in tre o quattro giorni, in cuisi ferma a Parma e poi col treno ritorna a Milano. Questo suo soggiornare nella città emiliana intacca notevolmente il suo stipendio. Si mette a dipingere, sollevato e tranquillizzato dalla fine del conflitto. Gli nasce l'ultima figlia, cui dà il nome di Renata in omaggio al suo padrino, il pittore parmense Renato Vernizzi. Nel referendum in cui si sceglie tra monarchia e repubblica, vota per la dinastia sabauda.

In questi anni incomincia la stagione dei Premi che, diffusi capillarmente in tutto il territorio nazionale, integrano l'attività della Biennale e della Quadriennale; esse riapriranno solo nel 1948 (Lilloni sarà invitato ad entrambe). Con la caduta del Fascismo erano, infatti, scomparse le mostre Sindacali e si erano ridotte quelle internazionali che, sotto l'egida della Biennale, del Sindacato Nazionale di Belle Arti, del Ministero dell'Educazione Nazionale, del Ministero della Stampa e Propaganda e del Novecento Italiano, avevano permesso all’arte italiana di girare ovunque in Europa e in America durante il Ventennio. Lilloni aveva esposto, con questo tramite, a Stoccolma, Oslo, Monaco di Baviera, Vienna, Bucarest, Sofia, Bruxelles, Parigi, Barcellona, Zurigo, Ginevra, Berna, Losanna, Helsinki, Tallin, Riga, Praga, Linz, Berlino, Varsavia, Cracovia, New York, eccetera.

I premi, nel dopoguerra, costituiscono un'organizzazione espositiva fondamentale. E Lilloni è presente. Parteciperà al Premio Gallarate (edizioni 1950, 1952, 1953), al Premio Michetti (edizioni 1947, 1950, 1951, 1953, 1958), al Premio Burano (edizioni 1946, 1951, 1953), al Premio Marzotto (edizioni 1954 e 1956), al Premio Suzzara (edizioni 1948 e 1963), al Premio Campione d'Italia (edizioni 1961 e 1966), eccetera, ottenendo numerosi ed ambiti riconoscimenti (Premio Burano del 1947 e del 1953; Premio Garda del 1947; Premio Michetti del 1949 e del 1951; Premio "Lucia Gelpi" del 1959, eccetera).

Pensa a un nuovo progetto: una mostra su Milano, sulla Milano di ieri e di oggi, che si concretizzerà, poi, nella personale alla Galleria Bolzani nell'ottobre 1952. Lilloni dipinge per le strade di Milano, coglie gli angoli romantici della città, come magistralmente ricorderà Leonardo Borgese. (13) Viene perfino multato, perché non ha pagato la licenza per occupazione di suolo pubblico, per le sue soste artistiche sui marciapiedi milanesi.

Compie studi sul passato di Milano al Museo del Castello Sforzesco, al Museo di Milano e ovunque trovi materiale. Continuerà a dipingere su questo tema fino al 1960, con alterna produzione.

Viene, poi, confermato in ruolo, quale insegnante di decorazione pittorica, all'Istituto d'Arte Paolo Toschi di Parma nel settembre del 1948. Rimpiangerà, poi, di non aver potuto fare come Del Bon che, reintegrato, aveva dato le dimissioni per protesta. Ma Del Bon non aveva figli a carico.

Inizia, anche, il ciclo di Bardonecchia. L'albergatore Renato Perego, per valorizzare la località piemontese e per creare un'iniziativa che si differenzi dalle manifestazioni artistiche culminantinell'assegnazionedi premi, incomincia ad invitare come ospiti gli artisti, nel suo albergo Hotel Frejus, per una ventina di giorni. Lilloni fa parte della prima schiera di diciotto pittori presentinel febbraio/marzo 1949.Perego decide di stabilire due turni di soggiorno: uno estivo e l'altro invernale. Lilloni sarà nel gruppo dei pittori di Bardonecchia fino al 1953, anno in cui si conclude la manifestazione (14).

Un gallerista, in un articolo sul raduno di Bardonecchia (15), accenna al fatto che Lilloni sia vestito come a Milano. Non lo aveva certamente sfiorato il dubbio che non avesse i soldi per un abbigliamento adeguato, il che era la realtà.

L'idea di poter lavorare senza pagare l'alloggio lo rendeva sereno, almeno per un attimo lontano da quella miseria decorosa che aveva sempre caratterizzato la sua vita. Non aveva le possibilità di comprare abiti adatti per la montagna ma i suoi figli andavano all' Università. L'Artista, se non negli ultimi vent'anni, aveva sempre indossato gli abiti smessi dei colleghi, che gli venivano rivoltati, il che risultava visibile dalla posizionatura delle asole, con evidente suo imbarazzo; la sua figlia maggiore, da neonata, ha portato gli abitini usati dai figli degli altri pittori. La moglie Mariuccia, non potendoi allattare il figlio, es- sendo in stato di grave denutrizione, stabilirà un accordo con la drogheria presso cui acquistava la farina lattea e riuscìrà a saldare il debito solo cinque anni dopo la nascita del bimbo.

Comunque Mariuccia Lilloni porta il cappello, che era un accessorio indispensabile per una signora; i suoi primi due figli vanno all'asilo Montessori. La miseria viene nascosta il più possibile agli occhi indiscreti della gente; bisogna mantenere le apparenze.

Nel dopoguerra la famiglia riesce perfino ad acquistare l'immobile occupato (esteso ben sessanta metri quadrati per cinque persone e poi anche un cane).



(13) L.B. (Leonardo Borgese): "Mostre d'Arte", in “ Il Nuovo Corriere della Sera”, Milano, 30 ottobre 1952, pag. 3.

(14) La produzione di Lilloni sul tema di Bardonecchia riguarda gli anni dal 1948 al 1954.

(15) Luciano Pistoi: "Con i ''pittori di Bardonecchia", in “ L'Unità”, Edizione Piemontese, Torino, 30 gennaio 1951, pag. 3.

1949-1951

Su suggerimento dell'amico gallerista Carlo Cardazzo, si reca in Danimarca e nella Svezia meridionale a dipingere quel paesaggio che gli risulterà così congeniale. E con queste opere, Lilloni allestisce una mostra nella capitale svedese.

I quadri di "Stoccolma" (così vengono sinteticamente chiamate queste opere), poi, sono esposti in una personale alla Galleria L’Annunciatanel novembre 1949.

Nel gennaio/febbraio 1949, partecipa al Cairo alla mostra organizzata dalla Biennale di Venezia, "Exposition de peinture moderne Italienne", con l'acquisto ufficiale da parte del re Faruk.

Viene invitato nel 1951 alla VI Quadriennale di Roma.

1952-1956

Nel 1952 è presente alla XXVI Biennale di Venezia. E' l'ultima volta che viene invitato, il che lo addolorerà profondamente ma con il tempo valuterà diversamente le cose.

Oltre a lavorare a Bardonecchia e dipingere la sua Milano, incomincia anche quello che si può chiamare, anche se impropriamente, il ciclo dei grandi nudi. Lilloni, infatti, ha sempre dipinto figure e in particolare nudi, che costituiscono un motivo trainante della sua produzione artistica. Ma adesso l'ispirazione lo spinge a realizzare opere immani di squisita fattura, dall'Estate" (1952-1953) alla "Rossa" (1953), da “La Fonte" (1953-1954) al "Mattino a Parma" (1954), dalle "Bagnanti" (1954) al "Tramonto a Parma" (1954-1955). E così continuerà per tutto il 1956 ("Rossana", "Il velo d'argento", "La sottoveste azzurra", "La giarrettiera"). Anche in seguito continuerà a dipingere nudi, ma con il tempo le dimensioni si ridurranno.

Può dipingere "i grandi nudi", perché utilizza lo studio di Parma (ai tempi, accanto all'aula delle lezioni, era assegnato all'insegnante uno spazio per lavorare). Infatti solo l'altezza dei locali emiliani, che non avrebbe avuto a Milano, gli permette di creare quadri di così rilevanti misure. A Parma, anche, ci sono le donne che piacciono a Lilloni: le sue modelle devono essere bellissime, giovani donne di pelle chiara e di forme abbondanti. Lilloni, scherzando, diceva che dell'Emilia adorava il prosciutto, s'intende, crudo, il vino bianco e soprattutto le donne. Le modelle costituiscono un problema: è abbastanza facile trovarle ma è difficile convincerle a posare regolarmente. Alcune che integrano la scarsa e saltuaria remunerazione con attività meno legali, scompaiono e Lilloni, che non ha completato la figura, si trova a cominciare da capo. Gli risulterebbe impossibile, peraltro, su un corpo di una modella già abbozzato mettere la testa di un'altra.

Inizia anche il ciclo dei "piumini", composizioni astratte che convivono meravigliosamente con la pittura figurativa.

Nel 1952 si sposa il figlio Luciano: le sue nozze sono seguite nel 1955 da quelle della sorella Adele. E la famiglia si riduce a tre membri.

Nel 1953 espone ad Atene alla mostra "Art Italien d'Aujourd'hui", organizzata dalla Biennale di Venezia, con acquisto ufficiale di S.M. la Regina Federica di Grecia.

Nel 1955 incominciano i suoi soggiorni in Valsesia, che si ripeteranno fino alla fine degli anni Cinquanta.

Nel 1955-1956 espone alla VII Quadriennale di Roma secondo le sue affermazioni.

Nel febbraio 1956 la Galleria L'Annunciata di Milano organizza una personale esclusivamente sul tema dei boschi. Sempre nello stesso anno l'Artista trasferisce l'abitazione, adibendo l'appartamentino di Piazza Grandi finalmente a studio. Finalmente ha uno studio comodo a pianterreno, comodo per lui, per i possibili clienti e per il trasporto dei quadri. Gli viene assegnato il Premio Marzotto.

Nel settembre 1956 partecipa a Varallo alla Mostra del “Paesaggio Valsesiano”, promossa dal Consiglio della Valle, esposizione, poi, itinerante a Milano e a Torino.

1957-1963

In questo periodo Lilloni concentra la sua attenzione sull'Appennino parmense, in estate villeggiando o a Bosco di Corniglio o a Corniglio, due meravigliosi, pittoricamente parlando, paesi tra incontaminati castagneti, luoghi ricchi di alberi e di acque, motivi cardini della pittura lilloniana. Qui c'è solo il paesaggio: l'unico avvenimento del giorno è l'arrivo della corriera, che assicura i rifornimenti e le comunicazioni con Parma.

Lilloni lavora: si reca presto nei castagneti e i vecchi del posto lo ammoniscono, rammentandogli la sua salute. C'è troppa umidità ma Lilloni non desiste. Dipinge anche quadri di fiori, i famosi "Fiori del Lago Santo". Quando piove, una guardia forestale gli porta da questa località, allora preclusa al pubblico, dei meravigliosi fiori selvatici, che lo ispireranno con i loro colori e le loro forme leggiadre.

In questi anni solo due volte è andato altrove: nel 1958 a Viareggio e nel 1960 a Santa Margherita Ligure.

Nel 1959 Vallardi pubblica, nella sua bella collana "Galleria d'Arte", una monografia curata da Renzo Modesti.

Espone alla VIII Quadriennale di Roma.

Giampiero Giani presenta nell'aprile del 1959 una sua personale presso la Galleria L’Annunciata di Milano, seguita da un'altra esposizione, nella stessa sede, l'anno successivo. Nel 1960 l'Artista dipinge quello che reputa il suo capolavoro, un torso di donna, "Angela". Disilluso per una cattiva collocazione di questa opera alla Permanente di Milano, dal 1961 non vi espone e dirada la sua partecipazione a tutte le mostre, nelle quali spesso, con suo grande disappunto, trova esposti suoi quadri, forniti da altri a sua insaputa e contro la sua volontà. E in alcuni casi ricorrerà anche alle vie legali per farli togliere.

Nel 1961 il Pittore trasferisce l'abitazione in Via Sismondi 3 e dopo un paio d'anni, nell'aprile 1963, sposta lo studio in Via Sismondi 5. Finalmente una sistemazione definitiva.

Nel 1962 chiede il pensionamento. A sessantaquattro anni, malato di asma, gli risulta troppo faticoso continuare a viaggiare. Ha amato la pittura ma ha amato anche l'insegnamento: si riteneva un buon maestro, anche se non apprezzato adeguatamente. Infatti non interveniva mai sui lavori degli allievi: faceva notar loro a voce gli errori e li consigliava su come rimediare. Seguiva, quindi, la tradizione dei docenti ottocenteschi, di cui era stato alunno, il che non era compreso nell'immediato. Per Lilloni sarebbe stato più semplice e più veloce correggere l'opera direttamente ma poi che cosa avrebbero imparato i suoi allievi? Alcuni di questi, dopo essersi diplomati, sono tornati in segreteria, dove in precedenza si erano lamentati per le presunte carenze dell'insegnamento del Pittore, per ringraziare per i suoi metodi didattici. Lilloni, consapevole delle difficoltà chefare il pittore comporta, solo una volta, in tutti gli anni di insegnamento, ha consigliato ad un alunno di dedicarsi all'arte. Era un allievo delle Scuole degli Artefici, daltonico ma veramente geniale: tuttavia avendo chiamato i genitori per convincerli a far approfondire gli studi al figlio, si è trovato di fronte a una vecchina che gli ha domandato: "Sono vedova. Chi mi mantiene se mio figlio fa il pittore?" Lilloni ha dovuto tacere e il ragazzo ha continuato a fare l'orefice.

Nel 1963 è dato alle stampe il volume "La vita e le opere", con presentazione di Lepore e di Monteverdi.

Dagli inizi degli anni '60, finalmente, incomincia a vendere regolarmente i suoi quadri, gli stessi che per anni nessuno aveva voluto. Finalmente può sperare di assicurare alla moglie e alla figlia Renata quel benessere economico che aveva tante volte invano promesso a Mariuccia.

1964-1967

Ha i mezzi finalmente per realizzare il suo sogno giovanile: andare a Parigi. E lo fa nel 1964, ripetendo l'esperienza nell'anno successivo. E' accompagnato da varie lettere di presentazione per i più importanti galleristi e pittori parigini. Bruno Grossetti lo indirizza al mercante di Utrillo, Petridé, con cui ha numerosi rapporti d'affari. Queste lettere non lasceranno mai le tasche del Pittore.

Vista la città, ne è profondamente ispirato, dimenticando tutto se non la voglia di creare. Visita tutti i musei, gira ovunque, si fonde nell'atmosfera della città e dei dintorni, per familiarizzarsi con l'ambiente e poi dipinge.

A parte i continui approfondimenti culturali sulla pittura che sono un piacere e un dovere per Lilloni, l'Artista adora i gialli. Ama profondamente Nero Wolfe e Maigret. E in onore di quest'ultimo berrà Pernod e come vino, il Bordeaux e il Beaux Joulet (vedi l'opera "Omaggio a Maigret", 1965, dove ha raffigurato la sede della Polizia, in cui, secondo Simenon, lavora l'investigatore).

Nel 1965 uscirà una monografia "Lilloni a Paris", edita da Alfieri e Lacroix in cui è pubblicato il meglio della produzione parigina. E anche con alcuni di questi quadri Bruno Grossetti allestisce nel 1966 una personale, il cui catalogo è presentato da Luigi Carluccio.

Nel 1965 partecipa per l'ultima volta alla Quadriennale di Roma. All'ufficio vendita c'è l'amico gallerista milanese Ettore Gianferrari.

Le scelte di Lilloni difficilmente rispondono ad esigenze pratiche: nel 1964 accetta di fare una personale a Padova, perché la figlia di Diego Valeri è una delle due titolari. Per l'amicizia che lo lega allo studioso Carlo Ludovico Ragghianti, partecipa nel 1967 a Palazzo Strozzi alla mostra "Arte Moderna in Italia 1915-1935". Espone nel 1969 anche con Domenico Cantatore, Carlo Mattioli, Emilio Notte ed Aligi Sassu a Palazzo Carpegna: è molto orgoglioso di essere stato nominato Accademico di San Luca nell'anno precedente. Nella sua necrologia vorrà sia indicato solo questo titolo, oltre all'appartenenza, come ardito, al V Reparto d'Assalto, e così sarà fatto alla sua morte.

Nel 1967 c'è una personale alla Galleria Borgogna sul tema fiori.

1968-1972

Lilloni si estranea sempre più dalla realtà milanese. Sposta i suoi interessi artistici sul paesaggio ticinese e svizzero in generale. Non espone più in assoluto in mostre pubbliche e/o private. Da' precise disposizioni di non accettare alcun invito da qualsiasi parte proveniente: non sono ammesse eccezioni.

Nel 1972 viene allestita una mostra, sui nudi e le figure dal 1922 al 1972, presso la Galleria Schubert di Milano. Lilloni organizza contro voglia la sua ultima personale, quasi presagendo lo scarso successo di critica e di pubblico che avrà, forse per il periodo infelice (maggio) in cui ha luogo. "E ci sono opere così belle esposte" dirà Lilloni, con rammarico.

1973-1980

Lilloni si trasferisce a Lugano. Torna a Milano solo per le autentiche delle opere, molte delle quali falsamente a lui attribuite. Si sente incompreso, dimenticato, non dal suo pubblico, dai suoi collezionisti che l'hanno amato e lo amano tuttora ma dalle istituzioni. Eppure ottiene vari riconoscimenti: l’ Ambrogino d'oro nel 1971 e la Medaglia d'oro del Comune di Milano per meriti artistici nel 1974.

Nel 1975 Bolaffi Editore ha predisposto l'ultima monografia di Lilloni, a cura di Luigi Cavallo.

Lilloni continua a sacrificare tutto alla pittura. Si muove per dipingere e per visitare musei: va in Francia, in Germania, Olanda. Gira tutta la Svizzera per trovare i suoi soggetti. Il lago di Costanza con l'isola di Reichenau e il Giura francese e bernese sono tra i temi che più ama.

Nonostante sia da anni diabetico e abbia sofferto di gravi disturbi di cuore (tre infarti e due ischemie), muore di cancro polmonare bilaterale (non ha mai fumato) il 15 giugno 1980 a Milano. A Milano perché accorgendosi della gravità del suo stato di salute, ha voluto essere trasferito da Lugano nella sua città natale, che, nonostante tutto, continua ad amare.

Via Sismondi, 5 - 20133 Milano - Tel. 02.719148 - 025460321